mare
Data: 
16/01/2018

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Credits: 
alexandersonscc

Questa settimana torniamo all'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (OGS) di Trieste con OggiScienza per parlare del trasporto e dispersione di specie aliene, ovvero non autoctone, nei nostri mari

Da secoli le navi, per migliorare la propria stabilità, caricano acque di zavorra in un porto e le scaricano (o le scambiano) al porto successivo. Fino agli anni Novanta del secolo scorso il rischio di trasporto e dispersione di specie aliene era sottovalutato e le navi non venivano considerate possibili vettori di specie con potenziale invasivo. Poi un ricercatore olandese, Gustaaf Hallegraeff, ha scoperto nelle acque dell’Australia e della Tasmania vari eventi tipici delle acque del Giappone; Hallegraeff ha avuto l’intuizione di andare a guardare se nelle tanks delle navi, cioè nelle acque di zavorra che venivano scaricate, si trovavano dei microorganismi ancora vitali: è così che, per la prima volta, è stato documentato scientificamente il trasferimento delle specie da un mare all’altro attraverso il trasporto marittimo.

Su questo fronte l’Italia, ma in generale tutta l’Europa, arriva molto dopo gli Stati Uniti, il Giappone o l’Australia. Ma alcuni passi sono stati fatti. Ne abbiamo parlato con Marina Cabrini, ricercatrice dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (OGS) di Trieste, che è stata coordinatrice del progetto BALMAS sulle specie aliene nel Mar Adriatico.

L'intervista completa potete leggerla qui.


Crediti immagine: alexandersonscc (CC) - Pixabay.com | Hans (CC) - Pixabay.com